Il virus è invisibile. Questo semplice e incontrovertibile dato scatena una ragionevole paura, istintiva e legittima, che ci serve a proteggerci, ma può anche facilmente portare a due principali tipi di reazione esasperate, opposte ed estreme: ci si spaventa in modo esagerato oppure lo si sottovaluta con superficialità. In entrambi i casi, i nostri comportamenti non ci aiutano, né proteggono: vediamo insieme il perché.

Il virus invisibile apre le porte alle nostre fantasie, possiamo immaginare scenari tremendamente verosimili e lasciarci trascinare verso paure di difficile gestione, che spesso fa scattare alcuni meccanismi di autoprotezione di dubbia efficacia, come la ricerca spasmodica di un untore su cui incanalare rabbia e paura o la perdita di capacità critica, per cui si crede a qualunque cosa ci venga detta senza verificarne la fonte. Reazioni assolutamente umane e legittime in prima battuta, che però dovranno essere riconosciute e gestite in altro modo, al fine di evitare l’incremento del disagio emotivo e l’abbassamento delle difese immunitarie.

L’invisibilità del nemico, il virus nel nostro caso, non fa scattare in alcune persone quella sensazione di paura utile a difendersi, esponendoci così al reale pericolo di venire contagiati o di contagiare altri. Le motivazioni che stanno alla base dell’incapacità di rilevare questo rischio possono essere diverse e sono legate alla storia individuale, quindi è difficile generalizzare ma un elemento comune c’è: un profondo desiderio di non voler vedere o forse accettare, una realtà da cui non mi posso sottrarre. Si tratta anche qui di maldestri meccanismi di autoprotezione che ogni individuo attua secondo la propria storia e le proprie risorse, insufficienti però a garantire l’incolumità personale ed altrui.

A vedersi invece chiaramente sono i segnali di disagio che si possono manifestare in questo periodo o che si acuiscono se già presenti. Essi possono andare da problemi legati alla qualità del sonno, alle difficoltà nella memoria, dalla riduzione delle capacità di risolvere semplici problemi quotidiani, al sentirsi più stanchi, dal vedere amplificate oltre una soglia di tollerabilità, le lecite preoccupazioni per il proprio futuro, al senso di colpa che può assalire chi in qualche modo non si ammala ma vede un suo caro stare male.

Cosa fare? Non perdere contatto con gli altri, seppur nella distanza, chiedere aiuto ai servizi che numerosi si offrono gratuitamente come sostegno psicologico nel difficile periodo ed evitare la sovraesposizione mediatica, scegliendo una o due occasioni al giorno per tenersi aggiornati, ma non solo. Mantenere per quanto possibile la propria routine, riscoprire interessi lasciati da parte e avvalersi dei supporti tecnologici per restare vicini ai propri cari, sono elementi di forte aiuto, attivabili in autonomia. Per gli anziani è particolarmente importante tener vivi i contatti a distanza, ma anche vivere con regolarità la giornata, scandita dai pasti e dalle attività realizzabili a casa, fare del movimento con cautela e senza esporsi al rischio del contagio e naturalmente riposare adeguatamente. Chi ha contatto con loro dovrebbe assicurarsi che non perdano le abitudini semplici e rassicuranti che vivevano fino a pochi giorni fa, accompagnandoli nella trasformazione di quelli ora inattuabili: se erano per esempio abituati ad uscire per la partita di carte e nell’occasione facevano due chiacchiere fra coetanei, ora ci si potrà dare appuntamento telefonico magari facendo contemporaneamente un solitario ognuno a casa propria.

Il virus non si vede, ma ci sono cose su cui possiamo (e dobbiamo) aprire gli occhi, perché sono proprio lì di fronte a noi e quindi possiamo giocare quel ruolo attivo che ci conferisce forza e alimenta la nostra capacità di resistere in questo periodo di dura crisi per tutti. Siamo tutti responsabili del nostro prossimo.