L’articolo di oggi, segue idealmente la linea di quello uscito qualche anno fa, sempre in questa rubrica, che può essere rivisto come gli altri pubblicati, sul sito www.studiometalogo.com, quindi suggerisco agli interessati di sbirciare on line. Nel primo affrontavo la fatica del genitore a dire e mantenere un “no”, in questo vorrei ampliare lo sguardo sul significato dei “no” pronunciati dai figli, allo scopo di esplicitare, come tale affermazione muti di significato psicologico nel corso dell’età evolutiva. L’adulto dovrà tener conto che un “no” detto ad un bambino di tre anni sarà ben diverso a sei o a quindici: elemento questo, non del tutto scontato.

Il bambino di circa due anni è ormai capace di camminare da solo, ha consapevolezza crescente di essere un individuo preciso e inizia a manifestare le proprie preferenze, spesso esprime col proprio “no!” un desiderio di autonomia, a cui segue però l’accettazione nei fatti, delle indicazioni dell’adulto. Negli anni della scuola primaria, il “no!” sarà portatore di un certo senso critico nei confronti dei genitori, delle loro scelte e dei limiti che iniziano a cogliere in esse, dato che la crescente maturazione cognitiva gli consente sempre maggiori confronti e collegamenti. Il più deciso e oppositivo “no!” è dell’adolescente, che sente premere l’istanza forte di emanciparsi dall’educazione familiare, per cercare le proprie regole in autonomia. Di fatto, il bagaglio di norme, valori morali, limiti e ideali che negli anni hanno arricchito la vita del soggetto, non saranno spazzati via con la crisi adolescenziale, ma offriranno la base per la ricerca di nuovi equilibri familiari.

Il genitore ha il dovere di porre dei limiti e dare dei “no” da subito, ma dovrà essere consapevole del fatto che il figlio cresce nel corso degli anni e che le relazioni si rimodulano costantemente, sulla base dello sviluppo dei soggetti coinvolti. Seminare bene da subito, è una buona garanzia di successo relazionale.

 

Alba Passarella

Pedagogista Clinico ANPEC N.4278

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